Chiesa di Santa Maria della pietà

Chiesa santa maria della piet

 

1570. La Confraternita della Morte sotto il titolo della Pietà fu istituita nel 1570 e rinnovata nel 1609 con 'aggregazione alla Arciconfraternita di Roma dello stesso titolo.

1590. La campana della Chiesa della Pietà fu fusa l'anno 1590 con l'iscrizione: Sancta Maria ora Jesus pro nobis MDLXXXX Pesaro; di dimensioni d. max 38 cm., h. 38 cm., attaccatura cm. 9.

1620. Gli operai delle manifatture lanarie e delle conciarie di pelli istituirono una "Scuola di arte e mestieri" (come risulta dagli "Atti del Tribunale misto" del 1620), per i loro figli, destinandovi i beni della cappella della Pietà, che essi stessi avevano prima fondata. La scuola fu fiorente per tre secoli.

1622. Questa scuola consiste in un maestro di leggere, scrivere e dei primi rudimenti, ch'è stato sempre un prete, con l'annuo onorario di ducati 30, pagati dalla laicale Confraternita sotto il titolo della Pietà, che lo eligge ed in virtù di antico legato del 1622, fatto da Don Rodulfo di Cerrone.

1704. È indicata nella pianta di Arpino con la Pietà e sua Confraternita.

1708. I PP. Barnabiti dal 1708 al 1723 facevano le funzioni ecclesiastiche nella Chiesa della Pietà per causa che la loro Chiesa di S. Carlo si stava rifabbricando e rifacendo ad opera dell'Architetto Fratello Mariano Ponci (1668/1744).

1762. Beneficio della Chiesa della Confraternita della Pietà.

1764. La Confraternita della Pietà era tassata per once 198.

Beni di pregio:

1. La Madonna Addolorata. Statua scolpita in legno attribuita allo Stoltz.

Figura vestita di manto nero a risvolti gialli, col viso velato, la destra distesa innanzi, la sinistra ripiegata sul seno trafitto dalla spada. il volto levato al cielo. Altezza 2 metri ca.

Interesse artistico: discreto.

Ubicazione: Altare della cappellina laterale.

Ben conservata. Le forme settecentesche languide e dolciastre si addicono allo Stoltz.

2. La Pietà tela a olio Scuola Romana della seconda metà del XVII secolo.

Figura del Cristo ignudo, riverso, avvolto nel sudario sollevato da due angeli. La Vergine appare a 

destra. Due angeli in alto. Fondo nero. Rettangolare, cornice dorata mt. 1,70 x 2,30 ca.

Interesse artistico: discreto. Ubicazione: Altare maggiore.

Deteriorato rigato da grosse vernici. Forme manierate ma larghe, in cui si fondono elementi compositivi e tipicamente bolognesi, alla accademia romana ed eloquente dell'epoca.

Non è dato conoscerne con esattezza la data di edificazione ma per quello che si può leggere nelle 

strutture murarie la chiesa risalirebbe al XV sec.; unica data certa è quella della fusione della campana, 1590.

All'esterno la facciata è ornata solamente da due fiamme ai lati e con il simbolo della Confraternita sul portale.

Sullo stesso, prima dei rifacimenti, vi era come risulta dai documenti della chiesa, tale iscrizione: "SODALES RESTAURANDUM ET ORNANDUM CURARUNT. An. Do MDCCCXXIX".

All'interno lungo le pareti vi è un coro ligneo, probabilmente risalente alla seconda metà del Settecento, di semplici forme interrotto solo dalla porta della sagrestia e da un confessionale.

Al di sopra del coro le pareti, sono ornate da lesene decorate nell’Ottocento in finto marmo. Sulla bussola

d'ingresso è posto l'organo, risalente al 1700.

Nella sagrestia in una nicchia al di sopra dell'altare è posta la statua della Madonna Addolorata; sempre nella sagrestia si può ammirare il simulacro della "passione", la statua di San Pietro martire, trasferita dalla vicina chiesa, da tempo sconsacrata di San Domenico, come le altre due campane conservate in un campanile secondario.

Sotto l'altare maggiore è conservata la statua del CRISTO MORTO. Sopra un affresco rappresenta la "deposizione", scoperto qualche anno fa perché nascosto per anni da una pala raffigurante la "pietà", restaurata ed ora sistemata al di sopra della porta della sagrestia.

Più in alto, sempre sull'altare maggiore, un affresco di fattura meno pregevole rappresenta il Padreterno, era nascosto anche esso da una tela settecentesca dello stesso soggetto, ora posta sul confessionale. A destra dell'altare, una tela rappresenta la "natività", a sinistra, sulla porta secondaria d'accesso alla chiesa è collocato un quadro che raffigura "Cristo risorto".

La Stazione di Arpino e la chiesa di San Sebastiano

stazione arpino

 Dal centro storico si può raggiungere sia con i mezzi che a piedi (attraversando l'antica mulattiera) la Stazione di Arpino costruita circa 120 anni fa' e facente parte della cosiddetta Ferrovia del Liri (linea Roccasecca-Avezzano). La stazione di Arpino è un vero e proprio Museo a cielo aperto poiché sono visibili i segni del tempo e della storia grazie a strutture e reperti dell'inizio del '900. Si può notare una grande opera ingegneristica come la CISTERNA D'ACQUA che un tempo serviva a rifornire le antiche locomotive che transitavano su questa linea. Inoltre anche la natura ha creato uno scenario incantevole a pochi metri dalla stazione: infatti, qui, il fiume Rivieto, scendendo a valle, crea delle fantastiche cascate. Una delle più belle è quella denominata delle Mole, affiancata da un Ponte di epoca Romana e dai resti di un antico mulino appartamento anche alla famiglia Boncompagni (nel 1500).


Chiesa San Sebastiano

 

Non molto distante dalla Stazione, si trova un vero scrigno di bellezza, arte e spiritualità. Stiamo parlando della chiesa di San Sebastiano, sicuramente una delle prime chiese di Arpino. Nella facciata interna c'è un affresco in cui viene rappresentato il Flagello di San Sebastiano e sulla sfondo si può notare la più antica rappresentazione della città di Arpino.

Chiesa San Sebastiano interno


Chiesa di S.Vito

chiesa s vito

All’interno dell’Acropoli di Civitavecchia, ben protetta dalle mura ciclopiche, troviamo, oltre che la Torre (detta ”di Cicerone”, da dove si gode un meraviglioso panorama), l’antica Chiesa di San Vito Martire.

1305. Atto del notaio Rainaldo Oderisio di Sora del 2 febbraio

1305 per la visita del vescovo di Sora Andrea Massarone, in cui si cita l'arciprete Leonardo di Civita Vecchia.
1308. Per la decima del 1308/10 la Chiesa di S. Vito pagava alla Santa Sede tarì 1 grani 16; tarì 2.
1313. Arciprete della Chiesa di S. Vito era d. Giraldo.
1379. L'abate Pietro de Tartaris di Monte Cassino conferiva il 3 gennaio all'abate Giovanni Infuso arciprete della Chiesa S. Vito, il possesso canonico di S. Lucia.
1591. La cappella dell'Annunziata nella Chiesa di S. Vito fu restaurata da Albano de Bellis. Il quartiere di Civitavecchia fu diroccato dal terremoto del 1654. 14/5/1594. La Chiesa di S. Vito è Chiesa di cura similmente (parrocchia). C'è la Confraternita del Corpus Domini.
11/6/1704. È indicata nella pianta di Arpino con Parrocchia di S. Vito a Civita Vecchia.
1755. Beneficiati della SS,ma Nunziata e di S. Maria Maddalena eretti nella parrocchiale Chiesa di S. Vito. Daniele Quadrini cantore della Cappella Pontificia in Roma cappellano della Cappella di S. Maria Maddalena (1734-805).
1762. Tre Benefici della parrocchiale Chiesa di S.Vito.
1764. La Cappella del SS.mo di S. Vito era tassata per once 115 e quella di s. Desiderio per once 4.
17/2/1779. Giovanni Michele Stoltz (1725-79) è l'autore della statua in legno di San Vito martire.
1795. Il Clero della Chiesa di S. Vito è formato da: don Marco Calandrelli arciprete; don Pietro Antonio Coccoli canonico; don Tommaso Viscogliosi canonico; don Romualdo Bianchi canonico.
1807. Arpino abitanti 9518. Parrocchia di S. Vito a Civitavecchia n. 800.
15/10/1819. L'Arcipretura di S. Vito: è parrocchia ed Arcipretura. L'Arciprete è il Parroco ed ha beni fondi.
10/5/1820. L'arcipretura di S. Vito non è di padronato comunale avendo rendite, si mantiene a proprio conto, nulla corrispondendole il Comune.
9/3/1865. La Chiesa parrocchiale di San Vito martire fu colpita da un fulmine e, fatiscente per vetustà, fu ricostruita più ampia ed elegante nel 1870. Lo stile è quello romanico con tre navate ad archi.
Dopo il terremoto del 13 gennaio 1915 fu eseguita una buona riparazione, nel 1928 rimettendo a nuovo la cupola e restringendo gli archi, troppo larghi con pilastri di cemento armato e travi pure in cemento armato nelle arcate delle navate laterali. Vi sono sette altari:
- a destra il primo è intitolato alla Madonna del Perpetuo Soccorso (tela cm. 100 x 80 dipinta in stile bizantino dall'arpinate Vincenzo Gabriele) ed è in legno; il secondo in muratura è consacrato a S. Maria Maddalena penitente (tela cm. 110 x 160 d'incerto autore, bello il disegno e le tinte, anche l'espressione piace; la testa pare troppo sproporzionata in piccolezza; fregio in alto alla cornice).
- a sinistra il primo, in legno, è della Vergine Addolorata ('immagine è in telo plastica e di scarso valore artistico, in nicchia); il secondo in muratura della Madonna del SS.mo Rosario, in nicchia (l'immagine della Vergine vestita di stoffa, la testa e le mani in plastica, il resto in legno e stoppia, senza piedi; il Bambino è tutto in plastica, anch'esso vestito di stoffa); il terzo in muratura è consacrato a San Vito martire, di stile romanico, con due colonne cilindriche reggenti un architrave, nel centro in una sagoma circolare la figura di S. Lucia V.M., affresco di trascurabile valore; in nicchia a statua di S. Vito martire (in legno policromato e dorato, bella e pregevole opera dello Stoltz).
Il Santo è in veste di guerriero, mentre dalle spalle gli scende indietro un ampio mantello rosso. La sinistra stringe la simbolica palma, mentre la destra si appunta sul petto. Lo sguardo è alquanto verso l'alto, espressivo e devoto, sereno e dolorante insieme. Sulla pedana posta a sinistra del Santo, l'elmetto, ed a destra il tradizionale, cane, che fissa il Martire; il quarto in marmo è dedicato al S. Cuore di Gesù e posto in nicchia. L'altare maggiore in marmo policromo con pala del cav. Giuseppe Cesari da Arpino (cm. 180 x 250 raffigurante i tre Santi Martiri: Vito nel mezzo, vestito da soldato romano; Modesto a destra ed a sinistra Crescenza, coniugi educatori del giovane Vito, entrambi avvolti in un ampio paludamento.
Il dipinto è incastonato in una larga e proporzionata cornice a stucco, ottimamente dorata dall'arpinate Pietro Coccoli nel 1883. In alto di essa due angeli, della stessa fattura, reggono una corona sporgente quello di destra, quello di sinistra, guardando, stringe una palma). Altre opere d'arte: il portale interno della porta vetrina (cm. 370 x 280 in legno, intagliato e dorato nei rilievi, stile corinzio sec. XVIII, che anticamente, riferisce una tradizione, era il fregio della pala dell'altare centrale); il Battistero (cm. 250 x 100 di legno, del medesimo stile del portale è chiuso da un'arca, un reliquiario (cm. 40 col piede, di legno scolpito e dorato, però non inventariato tra le opere d'arte);
la porta interna della sagrestia (cm. 170 x 70 per metà in alto intagliata e forata); un reliquiario (alto cm. 20 di lame dorato sec. XVII a forma di tempietto, che racchiude un osso del Santo Titolare); il soffitto della sagrestia (cm. 600 x 300 di legno intagliato e forse originariamente dorato sec. XVIII ora coperto con tinta a calce); il campanile, riedificato nel 1870 insieme alla facciata su disegno dell'arpinate Carlo Sangermano, in stille romanico, è sormontato dalla Croce; vi sono tre campane, la grande fusa nel 1746, la media nel 1875 e la piccola restaurata nel 1791; l'orologio aveva una magnifica mostra in marmo, con 12 numeri in cifre romane impiombate, frantumata da un fulmine nel 1893, ora in gesso cemento con numeri dipinti; riedificato nel 1980, perché colpito da un fulmine. Attaccata all’abside della Chiesa parrocchiale, si trova la Canonica, già Cappella o Chiesa dell'Annunziata (restaurata da Albano de Bellis nel 1591, iscrizione su pietra marmorea, ed ampliata dal pronipote Gregorio nel 1707); tutta rinnovata nel 1751: è ad una navata, con stucchi di stile barocco alla parete dell'abside dove era l'unico altare, in muratura dell'Annunziata con gradini di legno per i candelieri (l'immagine, ora trafugata dipinta su tavola cm. 180 X 115 del 1500 circa, di rozzo autore locale, dopo il terremoto del 1915 fu portata nella Chiesa del SS.mo Crocifisso, sita accanto alla Porta Ogivale).


Arcipreti della Chiesa di S. Vito:
1305 - Leonardo;
1313 - Giraldo;
1379 - Giovanni Infuso;
1558 - Giacomo Erricis;
1570 - Domenico di Jacomino;
1589/600 - Giovanni Antonio Rosa;
1647/73 - Francesco Francazio;
1673/78-Francesco Dragoni;
1678/89 - Clemente de Bellis;
1690 - Patrizio Simeoni;
1719/21-Patrizio de Simeonibus;
1722/23 - Francesco Taglione (economo);
1723/32 - Giovanni Battista Ranaldi (poi abate di S. Michele Arcangelo);
1732/44 - Giovanni Mancini;
1744/95 - Marco Calandrelli;
1796/97 - Romualdo Bianchi (vicario curato);
1798/807 - Giovanni Antonio Merluzzi;
1807/42 - Giovanni Mancini;
1842/80 - Michele di Stefano;
1880/85 - Cosma Carfagna (poi abate della Chiesa di S. Andrea);
1885/87 - Gaetano Carfagna (canonico);
1887/914 - Tommaso d'Aguanno;
1915/29 - Filippo Parisi;
1930/60 - Celeste de Arcangelis;
1960/75 - Giuseppe Sacchi;
1975/82 - Alfredo Bernini;
1982/2015 - Franco Ranaldi.


Secondo una tradizione locale il sacro edificio sarebbe stato innalzato sulle rovine di un tempio pagano dedicato a Venere Conciliatrice. La facciata è ricoperta da pietra locale (puddinga), sopra
l'ingresso principale della chiesa, troviamo un'iscrizione che tradotta recita: IL TEMPIO CITTADINO IN ONORE DI SAN VITO MARTIRE SQUALLIDO PER L'ANTICHITA' COLPITO E DANNEGGIATO DAL FULMINE IL 7 MARZO 1865 PIU' AMPIO E PIU' ELEGANTE DI ASPETTO IL PARROCO MICHELE DI STEFANO E L'ABITANTE DEL LUOGO RAFFAELE DE ARCANGELIS SI PREOCCUPARONO DI RESTAURARE DALLE FONDAMENTA CON UNA RENDITA DELLA CHIESA NELL'ANNO 1870.
I lavori si resero necessari dopo i gravi danni causati alla struttura da un fulmine nell'anno 1865.
L'interno a tre navate risulta quindi, rimaneggiato, non solo da questo recupero conservativo, ma anche dal restauro susseguente al terremoto della Marsica del 1915. Entrando, lungo la navata destra troviamo lo stemma della famiglia de Bellis, in alto una scritta ricorda i lavori eseguiti dalla Sovraintendenza alle belle arti nel 1980, dopo i gravi danni riportati dal campanile colpito da un fulmine la sera del 4 aprile del 1979. La canonica della Parrocchia sorge per buona parte sui resti della piccola cappella dedicata all'Annunziata, un tempo proprietà della famiglia Pesce e per la restante sull'area di sedime di un vecchio ossario, bonificata agli inizi degli anni Sessanta.
L'ultima festa di San Vito si è tenuta il 15 di giugno del 1931, anche se taluni aspetti si sono mantenuti per poi esaurirsi definitivamente intorno alla fine degli anni '40. Ogni 15 di giugno si intrecciava nel borgo di Civitavecchia una fiera di notevoli dimensioni, seguita dalla benedizione degli animali e dalla esorcizzazione dei posseduti dal male, più raramente da una processione e comunque, sempre da momenti di festa. Proprio il 15 di giugno del ‘31, alle prime luci dell'alba si anima la solita fiera; centinaia di capi di bestiame vengono fatti salire lungo i tratturi antichi, da tutti i paesi del circondario e quando transitano dentro Civitavecchia vengono benedetti da don Celeste De Arcangelis, da poco
parroco, dall'alto del ballatoio della casa oggi abbattuta, sita davanti a quello che era il Circolo
vecchio, all'imbocco tra via San Vito e via de Bellis.
Terminata la compravendita, quando i sensali hanno smesso ogni mediazione, intorno alle 10 si tiene anche la processione guidata dallo stesso Don Celeste, alla presenza di Mons. Luigi Ippoliti, l'organizzazione e la scelta delle posizioni sono affidati alla famiglia dei Cavaceci, donna Laura e la madre ci tenevano tantissimo. La sfilata parte dalla Chiesa e si snoda nel borgo con tre giri rituali a cui partecipano uomini e bestie, subito dietro i Santo vengono posti i soggetti da esorcizzare; tra il bestiame: 10 o 12 cani ritenuti "arrabbiati"' portati da alcuni sorani, alcuni buoi morsi da animali non identificati, un paio di vacche con tremori alle zampe e diverse pecore morse da lupi; tra gli umani:
3 donne invasate di cui una di Vallerotonda Sopita dal "ballo di san Vito", che sta con le mani legate per evitare che si strappi i capelli e graffi la faccia e 2 bambini di cui uno morso da un cane e un altro con tremori al viso e alle braccia. Seguono le Congreghe, in testa quella del Santissimo che porta in mostra su tre diversi cuscini il simbolo della corona per la regalità; quello del crocifisso per la sofferenza e la redenzione e quello della Palma per il trionfo della santità e del sacrificio sul male.
Al termine, sul sagrato di "San Vito", con le bestie che vengono legate alla staccionata che era posta di fronte alla Chiesa dove ora c'è il muro che fa da recinto, avviene l'imposizione dei Ferri agli invasati per esorcizzare la malattia.
Molto il trambusto per l'esorcismo sulla donna di Vallerotonda, una certa Eleonora sulla cinquantina, che sembra fosse stata in carcere per aver ucciso a Firenze in combutta con l'amante, il marito.
Come le vengono sciolte le mani, tenta prima di aggredire don Celeste, poi inizia a strapparsi le vesti e per evitare che si faccia del male debbono immobilizzarla in quattro, una persona per ciascuno degli arti.
Solo allora il parroco riesce ad avvicinarsi per scacciare il maligno e con forza le impone sulla fronte il "Ferro" più corto, quello che oggi risulta rubato, un grido inumano le esce allora di bocca e sviene per terra. Più tardi riprenderà coscienza, sembra liberata dal male.
Qua e là si accendono piccoli fuochi purificatori con l'intento di allontanare la malattia e auspicare prosperità e felicità esistenziale. Molti si fermano alla Porta a bere vino servito sulla bancozza e a mangiare le "ciammarughe" al sugo, cotte in gran quantità da Giuseppa, Assuntina, Luigia e Maria.
Intanto, sempre sul sagrato, qualche ragazza intona cori a San Vito.

chiesa s vito interno

 

Chiesa S.Girolamo

Chiesa di S Girolamo

 

1308/10. Pagava per la decima grani 12 la Chiesa di S. Girordi .
1704. Indicata nella pianta di Arpino con Antro del Monte, chiamato S. Giroldo, che è prebenda di un canonico di S. Michele.
1720. Sopra il Monte, che si dice di S. Gerolle, ove vi è a guisa di una cappelletta, incavata buonaparte nel sasso del medesimo monte, con alcune pitture e si nomina S. Gerolle .
1721. Chiesa di S. Maria di Nazaret o della Madonna di S. Giroldo .
1721. La Chiesa di S. Girolamo era una volta di proprietà delle monache (benedettine), che vi si recavano spesso a diporto, quando non erano costrette dalla Clausura .
9/2/1722. Sopra al monte, andando a Civita Vecchia, vi è la Chiesa di S. Giroldo, che va annessa alla Chiesa di S. Michele, e viene goduta, e posseduta dal Capitolo di S. Michele .
1735. Li devoti della Madonna detta di S. Giroldo fecero la sagrestia e per avere il lume commodo fecero la finestra a dirittura del Monastero (di S. Andrea delle Benedettine), li fu dalla Reverenda Arciabadessa impedita e murata detta finestra, perché l'uliveto adiacente era proprietà delle Monache.
1762. Beneficio di S. Girolamo.
1931. Apposizione ad opera dei fedeli della Croce contigua alla Chiesa, che sovrasta il centro urbano, realizzata nella fucina allora sita al Colle, di mastro Augusto Coccoli e trasportata in loco a dorso di mulo da alcuni volontari guidati da Fortunato Viscogliosi di Civitavecchia.

Il primo documento scritto che testimonia l'esistenza della chiesa è una pagina del registro "Rationes decimarum italianae" nei sec XIII e XIV in cui risulta che all'epoca era conosciuta come "Ecclesia San Geroldi", chiesa di Santa Maria di Nazaret o della Madonna di San Girolamo e pagava un tributo annuo alla Città del Vaticano di 12 grana. Probabilmente, in origine, l'attuale Chiesa era solo un'edicola dedicata a S. Maria Vergine, eretta forse in seguito a presunte apparizioni.
Già nel 1581 come risulta da una relazione autentica fatta nella Curia Vescovile di Sora, dall'allora Canonico D. Domenico Peticco, la chiesa godeva di molte rendite annesse tra cui: la costa del monte da Civitavecchia fino al quartiere Colle, diversi oliveti e appezzamenti di terreno in varie località comunali.
Dell'effettivo assetto della chiesa sino al 1700, data la scarsità di documenti, non si sa quasi nulla, ma di certo nel 1710, si presentava come una piccola grotta, ornata da alcune pitture, nella quale era stato allestito un piccolo altare illuminato da un candelabro e dedicato alla Beata Vergine Maria, la cui immagine era raffigurata in una nicchia. L'ingresso all'antro era delimitato da una cancellata lignea (Atti della Visita Pastorale del Vescovo Diocesano Matteo Gagliano 1709). Risulta sempre costante l'afflusso dei fedeli a questo eremo, inizialmente di proprietà delle Monache Benedettine, poi di pertinenza della parrocchia di San Michele Arcangelo, sotto cui era con il titolo (molto cospicuo) di Beneficio Semplice con prebenda perpetua.
Nel 1735, i devoti di San Girolamo costruirono la sagrestia (parzialmente incavata nella roccia). Tra il 1735 ed il 1766, per motivi sconosciuti, subì dei danni per poi essere riparata, ampliata e ben provvista di arredi sacri grazie alla devozione ed elemosina dei praticanti. Nel 1766, l'impianto presentava due altari, uno ricavato nella roccia dedicato alla Vergine Maria ed un altro dedicato al SS. Crocifisso (da poco eretto e non ancora consacrato).Fu realizzato uno spazio centrale, deputato al culto, antistante l'abside circolare contenente l'altare maggiore e fu ricavata una fila di nicchie nella parete rocciosa delimitante questo spazio. In questo periodo la chiesa era nel pieno delle sue funzioni: vi si celebrava una messa dedicata a Sant'Agata la prima domenica di febbraio, una messa dedicata alla Beata Vergine Maria la prima domenica di maggio, oltre ad altre funzioni religiose che si tenevano nei giorni festivi (Vescovo Tommaso Taglialatela).
Tra il 1766 e il 1779 la chiesa viene arricchita di un altro altare dedicato a Sant'Agata ed a San Girolamo ubicato nella parte opposta a quella del SS. Crocifisso (Sisto Y Britto, 1779). La chiesa non subisce modifiche sostanziali fino alla prima metà dell’Ottocento, quando, nel 1836, viene eretta la Scala Santa per le indulgenze plenarie e parziali. Ciò implicò lo spostamento dell'altare di Gesù Crocifisso nel corpo di fabbrica terminale con una parete aggiunta nella parte destra della chiesa.
Nel 1836, viene chiesta la somma di circa 50 ducati per la realizzazione delle volte a crociera e dell'orchestra per l'organo, per rimuovere le due campane che si trovano vicino la chiesa e spostarle sopra il tetto, per allargare due finestre per dare maggiore luce alla chiesa ed infine per realizzare un camerino necessario alla sagrestia. Da qui si procedette alla realizzazione dei locali di servizio quali la nuova sagrestia al piano superiore, la stanza da letto, il bagno, la cucina e la sala da pranzo, locali resi necessari per l'alloggio del canonico. Dalla seconda metà dell’Ottocento, non ci sono stati più sostanziali interventi al manufatto eccetto l'inserimento in facciata di un offertorio in marmo per l'elemosina che riporta l'epigrafe del 1909. Inoltre una cartolina del 1913, mostra la facciata con due campanili simmetrici rispetto all'asse centrale, uno dei quali è tuttora visibile sul lato sinistro della chiesa, l'altro si può osservare proprio dietro quello sinistro.

 


Ex Chiesa di SS.Carlo e Filippo "Cinema Splendor " Mastroianni e Troisi

 

Chiesa SCarlo

 

1626 Il vescovo Giovannelli donò alla Chiesa di S. Carlo le reliquie di S. Pietro mart. .Desiderio Merolle concede il sito per fabbricare la Chiesa e il Collegio di S. Carlo conforme al disegno concertato coi PP. Barnabiti. In più darà 120 scudi annui, oltre ad altri 375 scudi dati da vari cittadini .
1704 Indicata nella pianta di Arpino con Chiesa di S. Carlo e Collegio del PP. Barnabiti.
8/7/1718 La Chiesa di S. Carlo si stava rifabbricando dall' architetto Fratello Mariano Ponci ed i Padri dovevano fare le funzioni nella Chiesa della Pietà .
1755 Indicata insieme alle altre Chiese parrocchiali come la Venerabile Collegiata di S. Carlo .
1764 Il Collegio di S. Carlo era tassato per once 1086 .
1/2/1792 Il chierico D. Giuseppe Sidoti musico della Cappella Papale di anni 72 (1713/'92), fu sepolto nella Chiesa de PP. Barnabiti .
20/3/1886 Inventario Chiesa di S. Carlo. Quadri: all'altare maggiore S. Carlo e S. Filippo, col corpo di S. Innocenza sotto l'altare, vestito e contenuto in un'urna di cristallo con cortina di seta violacea e grata di legno dorato; all'altare a sinistra bella effigie di S. Anna e quadro della Provvidenza con finimenti, sormontato da Spirito Santo d'argento; all'altare a destra quadro del S. Alessandro Sauli di Milano (1534/92), vescovo di Pavia, e quadro del Cuore di Gesù; alla sagrestia 10 quadri cioè S. Anna, S. Carlo tutti e due grandi, S. Alessandro; due di S. Alfonso, uno con cornice dorata; S. Gerardo Maiella; SS. Salvatore, Addolorata, questi due belli con cornice dorata; Madonna del Carmine con cornice dorata e due corone d'argento; S. Francesco Saverio Maria Bianchi; due mezzi busti in creta di S. Carlo e S. Pietro mart.; Statua di S. Alfonso con sottana di tela e mazza pastorale; Statua della Resurrezione; Bambino Gesù con un'urna vecchia per sepolcro.
1915. La settecentesca Chiesa dei SS. Carlo e Filippo, a pianta poligonale, chiusa al culto, perché gravemente danneggiata dal terremoto del 13 gennaio 1915.

La chiesa è opera di Desiderio Merolle che "per anni aveva maturato la decisione di impegnare i suoi beni per innalzare in Arpino una chiesa dedicata a Carlo Borromeo cardinale arcivescovo di Milano, proclamato Santo nel 1610, di cui egli era particolarmente devoto e di chiamare ad officiarla un ordine religioso, allestendo, allo scopo, una sede adeguata".
Finiti i lavori di sistemazione e adeguamento del Collegio nel 1708, poco dopo prendono il via i lavori per la chiesa di cui è stata decisa la completa ristrutturazione.
A tal punto giunge ad Arpino dopo le insistenti richieste del Padre Superiore Bonaventura Antoniotti, un altro architetto barnabita di fama, il fratello Converso Mariano Ponci. Vengono presi accordi con i confinanti e il 21 maggio viene posta la prima pietra. Come già per il Collegio anche per la chiesa i lavori procedono tra frequenti interruzioni.
Alle probabili ricorrenti difficoltà economiche si aggiunge anche il fatto che l'architetto progettista fratel Ponci deve alternare la conduzione dei lavori di Arpino, che vuole seguire personalmente con quella in altre sedi.
La sua presenza ad Arpino è documentata nel 1711, nel periodo 1717-1723 ed anche successivamente (proprio nel Collegio arpinate egli morirà il 5 dicembre 1744). Risulta nei documenti che nel 1722 viene realizzata la decorazione marmorea dell'altare maggiore, finanziata dalla duchessa Eleonora Maria Boncompagni Ludovisi, nel 1723 con il completamento della facciata la costruzione è ultimata, nel 1792 la chiesa viene abbellita con statue, dipinti dell'artista arpinate Paolo Sperduti e con altri elementi decorativi, mentre la facciata viene rinnovata.
È da ricordare che nel 1721, la chiesa ha come contitolare San Filippo Neri che, canonizzato nel 1622, è stato anch'egli molto legato ai Barnabiti. Il 27 giugno 1777, vi si sono celebrati i funerali del duca Gaetano Boncompagni, grande sostenitore e benefattore dei Barnabiti di Arpino.
Dopo i gravi danni riportati nel sisma del 1915, la chiesa sarà poi adibita ad oratorio parrocchiale.

"CINEMA SPLENDOR" Mastroianni e Troisi

Ad Arpino, un piccolo centro del sud, Jordan, proprietario del cinema "Splendor", è costretto a chiuderlo per mancanza di spettatori: sommerso dai debiti, tradito dalla defezione del pubblico, ha tentato tutto il possibile per evitare di vendere il suo locale ad un commerciante, che vuol farne un grande magazzino. Egli ha provato invano sia i cicli culturali che l'avanspettacolo con spogliarello, che pure trovava tanto avvilente. Ama infatti profondamente il cinema per tradizione familiare, perchè è figlio del primo padrone della sala, un entusiasta che aveva cominciato l'attività girando nei paesi con un camioncino e organizzando proiezioni in piazza. Cresciuto, quindi, in un clima di entusiasmo per l'arte cinematografica, Jordan, ormai anziano, è pieno d'amarezza. Condividono il suo dolore, ma non il suo pessimismo, sia l'ancor giovane proiezionista Luigi, amico e discepolo ormai da anni, il quale, imbevuto di cinema, vive in un mondo ideale popolato di volti di celebri dive, che per lui è più reale di quello vero, sia Chantal, mascherina e cassiera dello "Splendor", sentimentalmente legata a Jordan. Ma ormai la crisi del cinema ha sconvolto la vita dei tre: fatta un'ultima proiezione a sala vuota, il locale è venduto ed essi assistono amareggiati al suo smantellamento. Jordan è svuotato, come perduto: il suo mondo crolla. Dopo aver pubblicamente umiliato l'acquirente del locale, schiaffeggiandolo, egli deve ormai ritirarsi. Ma Luigi, che crede sempre nel mondo meraviglioso del cinema in cui accadono miracoli, immagina che "a tetto aperto" - durante una nevicata - un'improvvisa presenza di pubblico riempia festosamente lo "Splendor", consentendo a Jordan di ostacolarne la demolizione.

Auditorium Cossa

 

Auditorium Cossa

                      Ex Chiesa della S. Croce oggi adibita a sala convegni.


Chiesa Santa Maria delle Grazie

 

chiesa santa maria delle Grazie

 

10/6/1463. Nella Chiesa di S. Maria delle Grazie fuori le mura della Città di Arpino furono firmati i capitoli della pace di Arpino tra i rappresentanti del Papa e l'Università di Arpino . Nella cappellina sotto la Chiesa della Madonna delle Grazie a sinistra affresco di S. Sossio a mezzo busto col libro e la palma del martirio, al centro busto in gesso di S. Rocco ed a destra affresco di S. Bernardino a mezzo busto con crocefisso ed il bastone vescovile.
14/5/1594. La Confraterna di S. Maria delle Gratie et Consolazione .
1704. È indicata nella pianta di Arpino con Madonna delle Grazie e sua Confraternita.
1762. Benefici della Chiesa di S. Maria delle Grazie.
1764. La Confraternita della Chiesa di S. Maria delle Grazie era tassata per Once 402 e quella del Monte dei Morti di S. Maria delle Grazie per Once 58.
16/4/1809. Per le scuole pubbliche la Confraternita della Chiesa di S. Maria delle Grazie contribuisce con annui ducati 30.
1921. Gli Angeli della Madonna delle Grazie sono opera dello scultore Vincenzo Morricone(1895-1922).
Il 10 giugno dell'anno 1463242 nella Chiesa "Sancte Marie Gratiarum Extra muros terre Arpini" vennero confermati gli statuti di Arpino alla presenza di Napoleone Ursini, Generale Comandante delle truppe pontificie nonché Conte di Tagliacozzo e di Alba, Mons. Lorenzo Roverella, Vescovo di Ferrara e Mons. Fortunato, Vescovo di Sassinia (archivio Vaticano Roma, Reg. Pont. Roman., tom 493-codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis. tom III). Questo importante evento storico conferma l'esistenza della Chiesa già dal XV secolo.
Vi si celebra la festa della Madonna delle Grazie il 2 Luglio, come ringraziamento per il nuovo raccolto. Le prime notizie di detta festività, risalgono all'anno 1387 quando, a causa di una carestia, i monaci Francescani presenti in città decisero di questuare, di casa in casa, per i poveri, portando con loro il ritratto della Madonna.
All'epoca la chiesa era costituita dall'attuale sagrestia e probabilmente nel XVI sec., non era più adatta alle necessità pastorali, e quindi fu necessario ampliarne la struttura architettonica. Nel 1678, la Confraternita (sembra risalire al XV sec.) ha costruito l'oratorio ubicato sul retro della chiesa, utilizzando le proprie rendite, le offerte dei devoti e il lascito di 300 ducati da parte del sacerdote Andrea Sidoti. Il 22 novembre del 1740, Mons. Joseph M. da Ancona ha istituito per la prima volta nella chiesa della Madonna la Madonna delle Grazie, l’esercizio della Via Crucis ed i festeggiamenti in onore di San Francesco di Sales risalgono dall'anno 1750 (archivio della Confraternita). La confraternita è stata regolarmente riconosciuta in data 17/4/1777. Cent'anno 1893 la chiesa ha subito sia nella facciata,che nell'interno una modifica strutturale ed architettonica di notevole entità come risulta dal computo metrico dei lavori eseguiti datato 17/3/1893, a firma dell'ing. Emilio Antenangeli. Il relativo costo pari a £ 14.508,60 è stato a suo tempo, sostenuto interamente dalla Confraternita attraverso l'utilizzo di numerose rendite di cui godeva. Vista dall'esterno, la chiesa è divisa in due grandi livelli da un pronao sovrastato da tre grandi finestroni; la facciata è caratterizzata da una loggia, costruita, secondo la tradizione, per impartire la solenne benedizione con il ss.mo Sacramento in occasione della ricorrenza dell'Ascensione. Il campanile a cuffia (di stile napoletano) sostiene tre campane: la più grande porta la data di fusione 1761, le altre due portano la data 1834-1848. L'atrio di entrata, racchiuso da un cancello a due colonne, alternate da due inferiate. Lo stesso atrio e la facciata sembra che siano stati aggiunti in un periodo successivo alla struttura preesistente. Nell'entrata principale è posta un'iscrizione su marmo che attesta che la chiesa, in data 6/9/1896 è stata definitivamente dedicata alla SS. Madonna delle Grazie sotto l'episcopato di "Raffaele Sirolli". La chiesa nel suo interno si presenta a navata unica di forma rettangolare. Entrando sulla destra troviamo la tela rappresentante il "battesimo di Cristo" circa del 1600 (di ignoto attribuita alla scuola del Cavalier d'Arpino), gli altari dedicati a San Gioacchino con La Madonna (sulla base della statua si legge a devozione di Teresa Gabriele nata D'Agostini) e a San Rocco (sotto l'altare la scritta a devozione di Emilio Pesce). L'altare maggiore (in marmo come la balaustra e gli altari laterali) è sormontato da una edicola dove troviamo rappresentata la venuta dello Spirito Santo al centro di un altorilievo di "Putti" in gesso, fra raggi solari, che ricorda molto da vicino quello della basilica di S. Pietro in Roma; sotto possiamo ammirare due angeli piuttosto grandi (attribuiti all'arpinate Morricone Vincenzo) che a loro volta poggiano sull'altare e fra loro, una nicchia che ospita la statua della Madonna delle Grazie. Alla parte absidale segue il locale sagrestia a cui si accede da un ingresso posto sulla destra dell'altare principale. Sulla sinistra (procedendo verso l'uscita) si incontrano l'altare di San Francesco di Sales (sotto la scritta a devozione di Marco Pelagalli 1880), San Bernardino da Siena e la tela rappresentante la "fuga in Egitto” (ignoto locale 1639), Le decorazioni del coro sono attribuite allo Stolz.

La Chiesa di Sant’Antonio di Padova

La Chiesa di Sant’Antonio di Padova

La Chiesa di Sant’Antonio di Padova ex San Nicola di Bari risale alla seconda metà del secolo XIII, sorge su una necropoli romana, ed era dedicata a San Nicola di Bari.

Con Bolla di Urbano IV del 1263 risale la restaurazione di una comunità francescana in detta Chiesa (Archivio di Stato Regio Decreto 14 novembre 1270). Nel 1654 la chiesa è danneggiata gravemente dal terremoto e verrà riconsacrata e dedicata al SS.mo Sacramento e a Sant’Antonio di Padova nel 1727. L’intera decorazione della navata e del presbiterio sono della scuola napoletana del 1700. La pala d’altare “La Gloria dell’Immacolata Concezione e Santi”, opera di Paolo Antonio Sperduti. I marmi degli altari sono opera del milanese Cristoforo Buzzolini (1762). Ai lati dell’altare due dipinti su tavola, scene di martirio, della Scuola del Cavalier D’Arpino che fungono da ante a due urne con i corpi delle sorelle vergini e martiri S.Colomba e S.Matilde. Inestimabile valore artistico il crocifisso processionale sec. XVIII opera di Michele Stoltz. Sotto l’altare maggiore è custodita l’urna con le reliquie di San Florido Martire. Ci sono 5 altari e degno di menzione è quello della Confraternita dei Tintori e Conciatori delle Pelli, con la statua lignea di Sant’Antonio di Padova del 1662.

Nell’Oratorio della Confraternita di Sant’Antonio di Padova (istituita nel 1594), vi era un altare con il corpo di San Benedetto Martire, si possono ammirare diverse opere pittoriche di grande valore artistico; prima fra tutte “La Vestizione di S.Antonio di Padova” e  “S.Antonio di Padova” del Cavalier d’Arpino.   Interessanti opere di impronta popolare sono i 18 ovali in tela dipinta del 1775 che raffigurano la vita e i miracoli di Sant’Antonio. Nella sala attigua “L’incredulità di Tommaso” di Angelo Solimena. Di autore ignoto di fine 1600 è la bellissima tela della Madonna della Salute.

La “Guarigione di Tobia” di Girolamo Troppa e il dipinto del “La visione di San Gaetano da Tiene” di Francesco Solimena. Si ammirano due tele dell’arpinate Paolo Antonio Sperduti: La Circoncisione di Gesù e la Presentazione di Maria al Tempio. Vi si conserva una copia del “Toson D’Oro” munifico dono della poetessa Vittoria Colonna ai frati del Convento.

In ogni tempo il convento adiacente alla chiesa, ospitò numerosi religiosi, illustri per santità e dottrina, Fra’ Giacomo Aquensis Diocesis, che fu responsabile di tutti i frati minori della Campania e nel Lazio meridionale, San Bernardino da Siena, San Leonardo da Porto Maurizio,  S.Benedetto Giuseppe Labre. Ai Padri Francescani succedettero, grazie al Servo di Dio P. Antonio della Madre di Dio ed al Vescovo Montieri i PP. Trinitari il 6 aprile 1856. Con la Legge del Regno d’Italia 7/7/1856, fu annientata la già fiorente Provincia Trinitaria e quindi soppresso il Convento dei Padri Trinitari ad Arpino. Alla custodia della Chiesa di S.Antonio vi rimase il P. Luigi della Madre di Dio, che vi terminò i suoi giorni il 4 novembre 1882, molto rimpianto dalla popolazione. Nel 1886, in convento fu adattato a carceri.

La Chiesa di Sant’Antonio di Padova

 


La Chiesa di Sant’Antonio di Padova

La Chiesa di Sant’Antonio di Padova ex San Nicola di Bari risale alla seconda metà del secolo XIII, sorge su una necropoli romana, ed era dedicata a San Nicola di Bari.

Con Bolla di Urbano IV del 1263 risale la restaurazione di una comunità francescana in detta Chiesa (Archivio di Stato Regio Decreto 14 novembre 1270). Nel 1654 la chiesa è danneggiata gravemente dal terremoto e verrà riconsacrata e dedicata al SS.mo Sacramento e a Sant’Antonio di Padova nel 1727. L’intera decorazione della navata e del presbiterio sono della scuola napoletana del 1700. La pala d’altare “La Gloria dell’Immacolata Concezione e Santi”, opera di Paolo Antonio Sperduti. I marmi degli altari sono opera del milanese Cristoforo Buzzolini (1762). Ai lati dell’altare due dipinti su tavola, scene di martirio, della Scuola del Cavalier D’Arpino che fungono da ante a due urne con i corpi delle sorelle vergini e martiri S.Colomba e S.Matilde. Inestimabile valore artistico il crocifisso processionale sec. XVIII opera di Michele Stoltz. Sotto l’altare maggiore è custodita l’urna con le reliquie di San Florido Martire. Ci sono 5 altari e degno di menzione è quello della Confraternita dei Tintori e Conciatori delle Pelli, con la statua lignea di Sant’Antonio di Padova del 1662.

Nell’Oratorio della Confraternita di Sant’Antonio di Padova (istituita nel 1594), vi era un altare con il corpo di San Benedetto Martire, si possono ammirare diverse opere pittoriche di grande valore artistico; prima fra tutte “La Vestizione di S.Antonio di Padova” e  “S.Antonio di Padova” del Cavalier d’Arpino.   Interessanti opere di impronta popolare sono i 18 ovali in tela dipinta del 1775 che raffigurano la vita e i miracoli di Sant’Antonio. Nella sala attigua “L’incredulità di Tommaso” di Angelo Solimena. Di autore ignoto di fine 1600 è la bellissima tela della Madonna della Salute. La “Guarigione di Tobia” di Girolamo Troppa e il dipinto del “La visione di San Gaetano da Tiene” di Francesco Solimena. Si ammirano due tele dell’arpinate Paolo Antonio Sperduti: La Circoncisione di Gesù e la Presentazione di Maria al Tempio. Vi si conserva una copia del “Toson D’Oro”munifico dono della poetessa Vittoria Colonna ai frati del Convento. In ogni tempo il convento adiacente alla chiesa, ospitò numerosi religiosi, illustri per santità e dottrina, Fra’ Giacomo Aquensis Diocesis, che fu responsabile di tutti i frati minori della Campania e nel Lazio meridionale, San Bernardino da Siena, San Leonardo da Porto Maurizio,  S.Benedetto Giuseppe Labre. Ai Padri Francescani succedettero, grazie al Servo di Dio  P.Antonio della Madre di Dio ed al Vescovo Montieri i PP.Trinitari il 6 aprile 1856. Con la Legge del Regno d’Italia 7/7/1856, fu annientata la già fiorente Provincia Trinitaria e quindi soppresso il Convento dei Padri Trinitari ad Arpino. Alla custodia della Chiesa di S.Antonio vi rimase il P.Luigi della Madre di Dio, che vi terminò i suoi giorni il 4 novembre 1882, molto rimpianto dalla popolazione. Nel 186, in convento fu adattato a carceri.

Archicenobio benedettino

Monastero di clausura delle BenedettineAttiguo alla omonima chiesa di S. Andrea, con la quale ci furono sempre rapporti religiosi e di interessi, sorge l'antico monastero di clausura delle Benedettine. Di esso si ha notizia certa in un rogito sottoscritto dalla badessa Odda e dalle sue consorelle, risalente al 1249. Ma la tradizione lo vuole, addirittura, fondato nel VI sec. da S. Scolastica, sorella di San Benedetto.

A prescindere da quanto di artistico è presente nel monastero, storicamente questo cenobio, l'unico femminile delle antiche prepositure benedettine giunto ininterrottamente fino ai giorni nostri, è importantissimo perché ci fa conoscere nelle ottantasette pergamene conservate in Montecassino, la vita claustrale in tutti i suoi aspetti.

Il Crocifisso Christus TriumphansLa Badessa, coadiuvata da un consilium monialium, secondo la regola benedettina prendeva le decisioni e curava i rapporti con l'esterno. Donativi (salutes) e giornate lavorative (servitia) costituivano i beni del monastero. Per entrare nel convento occorrevano libertà di scelta, irreprensibile condotta, buon ceto sociale. Tra le attività delle suore prevaleva l'arte del ricamo; oggi il monastero è divenuto centro di incontri di studio nell' organizzazione dell' Oasi Benedettina Maria Santissima.


La struttura più antica è quella dei magazzini, delle cucine e del refettorio. Bello è il Chiostro con un porticato su cui si aprono gli ambienti della comunità. Ma questa parte purtroppo non è visitabile a motivo della clausura. Il monastero ha avuto, nel corso dei secoli, diversi rifacimenti. Tra le opere custodite importante è il Crocifisso. Esso si presentava, prima dell' intervento conservativo, come un dipinto ad olio su tela inchiodata al supporto ligneo. Ma in fase di restauro, sotto la tela, sulla tavola, furono trovate tracce di un altro dipinto a tempera.

Esso rappresenta il Christus triumphans, inchiodato alla Croce, con espressione ieratica e con volto circondato dal nimbo crocigero. Entro i capicroce sono raffigurati episodi della passione.

Esso risale sicuramente al Trecento ed è di Scuola Toscana e Umbra, il cui influsso in Arpino fu forse dovuto ad  una comunità di Francescani. La tela, ad olio, che ricopre il dipinto trecentesco, in parte ricalca l'iconografia della croce medioevale con stile naturalmente differente e può esser fatta risalire alla fine del secolo XVI. Nella Sala dei Convegni possiamo ammirare quest'opera e l'affresco raffigurante Sant' Andrea che ornava la lunetta sovrastante il portale dell'omonima chiesa.

Orario di visita al Monastero - Visit hours:
8.30-11.30    15.15-16.45 (ora legale 17.15)

 


La Chiesa di Sant' Andrea

chiesa san andrea2021

Ricostruita nel 13° sec. dopo la distruzione della città del 1252 dall'esercito di Corrado IV e riedificata ancora nel 1533 (iscrizione incisa nell'architrave del portale).
La facciata, sistemata recentemente, conserva nella lunetta sovrastante il suddetto architrave l'affresco di San Andrea, ma quasi completamente distrutto.

Nell'interno ha un interesse particolarmente notevole la pala posta al centro dell'altare maggiore. Essa fu dipinta da Giuseppe Cesari detto il Cavalier d'Arpino (1568-1640), pittore considerato dai suoi contemporanei tra i maestri più insigni del tardo manierismo.
La suddetta pala rappresenta S. Andrea con S. Benedetto; al centro del dipinto, in alto, si notano due angeli e la colomba dello Spirito Santo. L'opera, che è di buona fattura e ben conservata, è racchiusa in una grandiosa inquadratura architettonica composita, di stucco colorato, che fa da fondale al presbiterio.
Ai lati della pala si trovano quattro tele di minori proporzioni, ma di discreta fattura, di scuola napoletana del '600, raffiguranti S. Lucia, S. Pietro martire, S. Anna con Maria bambina e S. Rocco.
In basso, sulle due estremità laterali del muro a cui è appoggiata l'inquadratura architettonica dei suddetti dipinti, si trovano due piccole nicchie rettangolari con incorniciature settecentesche di stucco. Nella nicchia di destra si può osservare un affresco della fine del secolo 15˚
raffigurante la Madonna col Bambino; nella nicchia di sinistra è riprodotto, su pergamena applicata al muro, l'Arcangelo Gabriele, eseguito ad acquarello da un pittore miniaturista del secolo 18°.

Nella navata destra notiamo:
1) Il dipinto che riproduce S. Biagio, eseguito da un pittore popolare del secolo 17°, ai lati del quadro si trovano due piccole tele raffiguranti rispettivamente la Madonna col Bambino (a sinistra) e S. Francesco di Paola (a destra). Sono di autore ignoto napoletano del '700.
2) La Natività della Madonna, copia da un'opera del pittore Sebastiano Conca (Gaeta 1680 - Napoli 1764), autore di notevoli lavori, dal temperamento esuberante, che accoglie nelle sue tele la grazia raffinata del 18° secolo.
In alto, chiuse in una incorniciatura settecentesca di stucco colorato, trovasi un dipinto di buona fattura raffigurante S. Lucia.
3) Il Battistero, eseguito nel 1782 dal viennese Federico Tretter.


Nella navata sinistra è pregevole la pala d'altare del sec. 17° raffigurante S. Giovanni decollato, attribuibile ad un seguace del Cavalier d'Arpino.
Sulla cimasa della bella incorniciatura in stucco cinquecentesca che racchiude la pala del Battista, trovasi una tela sopra-altare con Cristo benedicente, molto fine e delicata, che risale con sicurezza alla seconda metà del sec. 16°.
Vanno inoltre ricordati, sempre nella navata sinistra, il dipinto raffigurante S. Francesco e S. Pasquale, attribuibile ad un pittore napoletano del sec. 18°, racchiuso in una ricca incorniciatura di stucco settecentesca, ed il dipinto raffigurante la Madonna col Bambino, S. Gaetano e S. Filippo Neri, anch'esso di scuola napoletana del sec.
18°.

chiesa san andrea2021 madonna


A metà della nave sinistra, in alto, dietro una grata, si vede la mirabile immagine della Madonna di Loreto, protettrice della città.
Costruita all'inizio del 18° secolo tutta in cartapesta, tranne gli arti della Vergine che sono di legno ben intagliato, col volto bruno e gli occhi di cristallo, fu rivestita di indumenti di seta e posta nel 1756 su un'artistica macchina di legno, raffigurante la S. Casa di Nazareth trasportata dagli Angeli. È un'opera dello Stolz.
In fondo alla nave sinistra è la Cappella del Santissimo, la cui pala rappresenta il Cristo morto, la Madonna, la Maddalena e S. Giovanni, L'opera, attribuibile ad un pittore romano della fine del '500, è rinchiusa in una fastosa incorniciatura di stucco colorato della fine del sec. 16°. Sovrasta il tutto una lunetta in cui sono riprodotti i simboli della Passione, eseguiti nel sec. 19°.

Nella navata centrale vanno ricordati il pulpito e gli stalli del coro, intagliati in legno nel sec. 17°.
Sulla parete d'ingresso è l'organo, posto su un palco scolpito del sec. 18°. Dagli atti d'archivio risultano pagate le seguenti riparazioni dell'antico strumento che forse risaliva al sec. 17°: "A di 29 nov. 1691. Pagato all'organista carlini 30” (Libro dell'Amministrazione fol. 2 tergo).
“15 nov. 1699. Pagati carlini 35 all'organista di Pastina per ricomodatura dell'organo" (idem fol. 30).
26 mag. 1752. Atto not. Bernardo Notarantonio tra i canonici della Collegiata Chiesa di S. Andrea insieme con le suore del Monastero di S. Andrea ed il sig. Giuseppe Viola napoletano organaro per rimettere a nuovo l'organo "il quale rattrovasi mal ridotto e vi mancano molte canne, e più sono diversi ordegni ed ornamenti necessari e perciò si rende quasi inservibile" (Libro di memorie del Capitolo di S. Andrea).


Attiguo alla Chiesa di S. Andrea è il
MONASTERO DI CLAUSURA DELLE BENEDETTINE
Fondato nel 540 da S. Scolastica, sorella di S. Benedetto, secondo la tradizione orale avvalorata anche dal fatto che la città di Arpino era stata donata l'anno precedente al Monastero di Montecassino. È rimasto fino al 1616 alle dipendenze del Monastero di Subiaco, poi è passato a quelle del Monastero di Montecassino. Ricostruito nel 16° secolo e poi di nuovo nel sec. 18°, conserva quasi intatte le originali forme architettoniche nei locali a pianterreno (magazzini, cucine, refettorio, cortile), le cui strutture hanno forme monumentali di severa grandiosità.

 

Santuario Santa Maria di Civita

Santuario di Santa Maria di CivitaSul luogo dove oggi sorge la Chiesa di S. Maria di Civita, un tempo si ergeva un tempio pagano, dedicato a Mercurio Lanario, protettore della lavorazione della lana, che era l'attività principale del centro romano della Civitas Falconara. Una torre follonica, poi divenuta base dell'odierno campanile, e una lapide rinvenuta nel pavimento del recinto sacro attestano questa continuità.

La lapide, oggi murata sulla facciata della Chiesa, così recita: "R.UM-SACRUM-TRI-MERCURIO-LAN-CILIX-TULLI-L.S.-TEPA-PRAECIAE-S-PHILOTIMUS-PERFIC."

Le persone indicate (Cilix-Tepa-Filotimo), che probabilmente fecero erigere questo tempio, erano storicamente legate alla famiglia di Cicerone. Del tempo romano sono pure il fregio sui blocchi poligonali del campanile con figure simboliche (non visibile), la lapide che ricorda la ricostruzione delle torri da parte del console Acerronio e quella che indica il restauro del tempio a cura di tre edili (Sacrestia).

Nei primi anni del Cristianesimo, dunque, sorge qui S. Maria di Civita e la prima notizia le abbiamo da un documento di donazione firmato nel 1038 proprio dentro la chiesa di "S. Maria de Arpino". Qui si venerava una tavola antichissima della Regina degli Angeli, detta la Madonna della Civita, quadro distrutto nel periodo delle incursioni barbariche. Dice Serafino Montorio nello Zodiaco Mariano che "questa chiesa al tempo dei Goti patì lagrimevole incendio … e solamente restovvi intatto dalle fiamme un Martirologio in pergamena manoscritto con caratteri longobardi in cui leggesi la consacrazione della chiesa sotto il titolo dell'Assunta".

Oltre questo documento della fine del XIII sec., che riporta a margine iscrizioni di fatti storici e fenomeni tellurici locali, sono conservati nella chiesa anche gli Antifonari "membranacei" del sec. XIV.

MartirologioRiconsacrata agli inizi del 1300, S. Maria della Civita fu quasi completamente rifatta in stile tardo barocco alla fine del sec. XVIII e poi ancora arricchita nel corso del 1900.

L'interno della chiesa è a tre navate, a croce latina. Un'ariosa cupola dà luminosità e ampiezza alla navata centrale. Desta ammirazione la cappella della Vergine Incoronata, le cui pareti sono rivestite di marmi. In essa è custodita la statua lignea dell'Assunta, scolpita a tutto tondo in un tronco di cedro del Libano.

Nei secoli bui del Medioevo sembra che fosse traslata, per meglio difenderla dalle incursioni barbariche, nella rocca di Montenero, fortilizio naturale tra Arpino e Santopadre, dove, in caso di emergenza, trovavano rifugio gli abitanti della città. L'atteggiamento rigido e l'espressione ieratica della Madonna sono tipici dell'arte fiorita intorno al Mille.

Oggi si presenta rivestita da un ricco paludamento settecentesco e in Suo onore il 15 agosto si svolge in Arpino una solenne processione. Anche in questa chiesa ammiriamo due tavole del Cavalier d'Arpino: San Giovanni e San Giuseppe (in Sacrestia), oltre la maestosa figura del Padre Eterno nella cupola.

Ad un seguace del Caravaggio viene attribuita una tela ad olio di San Girolamo e sono di scuola romana del XVIII sec. il San Giacomo che ascende in gloria (navata sinistra), l'Annunciazione (lato sinistro del transetto), il Sogno di San Giuseppe (lato destro del transetto). Ai lati della sacra cappella, nell'abside, le statue di San Pietro e San Paolo sono dell'artista arpinate Mariano Pisani, che per queste opere conseguì nel 1919 la medaglia d'oro all' Esposizione di Arte Sacra. Sulle finestre della navata centrale sono installate dieci artistiche vetrate. Cotte a gran fuoco, istoriate con figure, decorate a simboli, legate a piombo, sono state realizzate su disegni del prof. Luciano Bartoli.

Altre due belle vetrate si ammirano nel restaurato Battistero. L'artistico frontale dell'organo, scolpito e dorato, viene dalla tradizione attribuito allo Stolz, ma più verosimilmente è opera di un autore ignoto, ebanista laziale, del sec. XVIII. Dello Stolz è invece sicuramente la macchina su cui poggia il simulacro della Vergine, un tempo ornata di Angeli che purtroppo sono stati rubati. Entrando a destra, una lapide ricorda la visita che fece in questa chiesa Carlo III di Borbone nel 1749.


La Chiesa di San Michele Arcangelo

Chiesa di San MicheleSulla piazza principale di Arpino sorge la Chiesa di S. Michele Arcangelo, costruita sull'area di un tempio pagano, sembra, dedicato ad Apollo e alle nove Muse. Così almeno viene creduto in quanto dietro l'altare vi è un vano scavato nella roccia con nove nicchie vuote.

Nella navata sinistra della chiesa, una lapide del 1700 avvalora questa credenza; così recita "Templum hoc novem musis olim dicatum ... anno MDCCXXXI consecravit".  Affreschi risalenti all'VIII-IX sec., la datazione MC sull'iscrizione della campana maggiore, la documentazione dei Regesti dell'Abbazia di Montecassino, che parlano di una donazione da parte di Giovanni di fu Lando nel 1104, attestano l'antichità della chiesa e ci ricordano la continuità nello stesso luogo del culto pagano e della religiosità cristiana.

Da documenti dell'inizio del '400 sappiamo che S. Arcangelo (così allora veniva chiamato) fu residenza del vescovo di Sora, che da qui emanava i suoi decreti. Danneggiata dal terremoto del 1654, la Chiesa fu restaurata e rimaneggiata successivamente fino ad avere l'aspetto attuale.

L'interno, barocco, è a croce latina a tre navate con cappelle laterali e volte a crociera. S. Michele è custode di numerose opere di prestigio. Subito, entrando, notiamo sull'altare maggiore la grande tela del Cavalier d'Arpino raffigurante L'Arcangelo Michele vittorioso su Lucifero e sulla volta dell'abside la maestosa figura del Padre Eterno.

Interno Chiesa di San MicheleSempre allo stesso artista sono attribuite L' Annunciazione, Tobia e l'Angelo, Il Martirio di S. Pietro, e le 14 Stazioni della Via Crucis.

Di notevole livello artistico è la Croce stazionale di Scuola Toscana (sec. XIV), nella navata destra. Nella Sacrestia una tela ad olio, attribuita a Francesco Curia, imitatore del Caravaggio, rappresenta Il Battesimo di Gesù.

Bella è la Madonna con Bambino del pittore secentesco Dionigi Ludovisi. Da notare è l'organo realizzato nel '700 e opera di Michele Stolz sono il Battistero e il pulpito in legno di noce con sei putti a rilievo sostenuti da un'aquila.

Michele Stolz, lo scultore in legno, tirolese (1725-1779) che operò lungamente in Arpino, è sepolto sotto l'altare del Sacro Cuore in questa Chiesa.